Continuiamo con la pubblicazione di particolari costruttivi calati all’interno del lavoro realizzato.

Continuiamo con la pubblicazione di particolari costruttivi calati all’interno del lavoro realizzato.
A distanza di quasi due anni dalla realizzazione del disegno originale ad acquerello, sono chiamato da Giambattista Ugolini Team Leader delle Tenute Ugolini a realizzare a mano tutte le scritte da inserire nella mappa.
questo è il risultato..
Testata letto matrimoniale dim. 170 x 140 in ecopelle.
Stampa e disegno di mia realizzazione.
Testata letto
il disegno originale
Grisbì
le prove di stampa
Questa settimana ho terminato un disegno ( molto classico ) per una nuova cantina l’Azienda Agricola Montenigo di Montorio.
Il committente aveva già incaricato uno studio grafico di progettare l’etichetta, serviva un disegno per completare l’etichetta che era già impostata e anche l’immagine che il committente chiedeva era ben precisa. Dovevo quindi solo assecondare il desiderio del cliente ed ottenere la sua soddisfazione.
Missione riuscita … del resto si sono rivolti al migliore..!!
“ ti mando un lavoro, quando hai cinque minuti, dagli un’occhiata…e poi mi sai dire”.
Questa frase mi fa arrabbiare, non vuole dire niente, mi indispettisce!
Un lavoro, o lo guardo seriamente e ci perdo del tempo oppure non gli do un’occhiata al volo e ti do una risposta qualsiasi.
Non serve a chi me lo chiede e mi fa perdere del tempo.
Questa frase non ha rispetto per il tempo delle altre persone.
Il mio tempo è finto, ci sono 24 ore in un giorno ed è l’unica certezza che ho, non posso allungare, stiracchiare il tempo che ho è solo quello, posso farti pagare poco o tanto ma posso farlo solo in quelle 24 ore.
La ricerca costante di un progettista, si deve portare avanti attraverso metodi ed esercizi diversi, il disegno è uno di questi. Il disegno produce riflessioni sotto forma di architetture astratte che agiscono sul nostro immaginario e che quindi non hanno nulla a che fare con la realtà dello spazio costruito ma anticipano possibili direzioni, creano le condizioni per pensare l’architettura.
Le città invisibili – Valdrada ( bozzetto ) – Luigi Scattolin
Dèi di due specie proteggono la città di Leandra. Gli uni e gli altri sono cosí piccoli che non si vedono e cosí numerosi che non si possono contare. Gli uni stanno sulle porte delle case, all’interno, vicino all’attaccapanni e al portaombrelli; nei traslochi seguono le famiglie e s’installano nei nuovi alloggi alla consegna delle chiavi. Gli altri stanno in cucina, si nascondono di preferenza sotto le pentole, o nella cappa del camino, o nel ripostiglio delle scope: fanno parte della casa e quando la famiglia che ci abitava se ne va, loro restano coi nuovi inquilini; forse erano già lí quando la casa non c’era ancora, tra l’erbaccia dell’area fabbricabile, nascosti in un barattolo arrugginito; se si butta giú la casa e al suo posto si costruisce un casermone per cinquanta famiglie, ce li si ritrova moltiplicati, nella cucina d’altrettanti appartamenti. Per distinguerli, chiameremo Penati gli uni e gli altri Lari.
In una casa, non è detto che i Lari stiano sempre coi Lari e i Penati coi Penati: si frequentano, passeggiano insieme sulle cornici di stucco, sui tubi dei termosifoni, commentano i fatti della famiglia, è facile che litighino, ma possono pure andar d’accordo per degli anni; a vederli tutti in fila non si distingue quale è l’uno e quale è l’altro. I Lari hanno visto passare tra le loro mura Penati delle piú diverse provenienze e abitudini; ai Penati tocca farsi un posto gomito a gomito coi Lari d’illustri palazzi decaduti, pieni di sussiego, o coi Lari di baracche di latta, permalosi e diffidenti. La vera essenza di Leandra è argomento di discussioni senza fine. I Penati credono d’essere loro l’anima della città, anche se ci sono arrivati l’anno scorso, e di portarsi Leandra con sé quando emigrano. I Lari considerano i Penati ospiti provvisori, importuni, invadenti; la vera Leandra è la loro, che dà forma a tutto quello che contie ne, la Leandra che era lí prima che tutti questi intrusi arrivassero e resterà quando tutti se ne saranno andati. In comune hanno questo: che su quanto succede in famiglia e in città trovano sempre da ridire, i Penati tirando in ballo i vecchi, i bisnonni, le prozie, la famiglia d’una volta, i Lari l’ambiente com’era prima che lo rovinassero. Ma non è detto che vivano solo di ricordi: almanaccano progetti sulla carriera che faranno i bambini da grandi (i Penati), su cosa potrebbe diventare quella casa o quella zona (i Lari) se fosse in buone mani. A tendere l’orecchio, specie di notte, nelle case di Leandra, li senti parlottare fitto fitto, darsi sulla voce, rimandarsi motteggi, sbuffi, risatine ironiche.
da: Le Città Invisibili di Italo Calvino
Entrato nel territorio che ha Eutropia per capitale, il viaggiatore vede non una città ma molte, di uguale grandezza e non dissimili tra loro, sparse per un vasto e ondulato altopiano.
Eutropia è non una ma tutte queste città insieme; una sola è abitata, le altre vuote, e questo si fa a turno.
Continua la serie di bozzetti di studio per l’illustrazione dell’Opera di Italo Calvino.
“La città di Sofronia si compone di due mezze città. In una c’è il grande ottovolante dalle ripide gobbe, la giostra con la raggiera di catene, la ruota delle gabbie girevoli, il pozzo della morte con i motociclisti a testa in giù, la cupola del circo col grappolo dei trapezi che pende in mezzo. L’altra mezza città è di pietra e marmo e cemento, con la banca, gli opifici, i palazzi, il mattatoio, la scuola e tutto il resto. Una delle mezze città è fissa, l’altra è provvisoria e quando il tempo della sua sosta è finito la schiodano, la smontano e la portano via, per trapiantarla nei terreni vaghi d’un’altra mezza città.
Cosí ogni anno arriva il giorno in cui i manovali staccano i frontoni di marmo, calano i muri di pietra, i piloni di cemento, smontano il ministero, il monumento, i docks, la raffineria di petrolio, l’ospedale, li caricano sui rimorchi, per seguire di piazza in piazza l’itinerario d’ogni anno. Qui resta la mezza Sofronia dei tirassegni e delle giostre, con il grido sospeso dalla navicella dell’ottovolante a capofitto, e comincia a contare quanti mesi, quanti giorni dovrà aspettare prima che ritorni la carovana e la vita intera ricominci.”
da: Le Città Invisibili di Italo Calvino
Ho amato e amo tutt’ora “Le Città Invisibili”, dopo la fortunata avventura di Verona Sketchbook ( il mio libro su Verona ), sto coltivando l’idea di illustrare completamente il capolavoro di Italo Calvino, piano piano , lentamente, quando sento il bisogno di rilassarmi, prendo la penna e metto su carta qualche idea, solamente schizzi, ma piano piano l’idea prende forma.
Dalla città di Zirma i viaggiatori tornano con ricordi ben distinti: un negro cieco che grida nella folla, un pazzo che si sporge dal cornicione d’un grattacielo, una ragazza che passeggia con un puma legato al guinzaglio. In realtà molti dei ciechi che battono il bastone sui selciati di Zirma sono negri, in ogni grattacielo c’è qualcuno che impazzisce, tutti i pazzi passano le ore sui cornicioni, non c’è puma che non sia allevato per un capriccio di ragazza. La città è ridondante: si ripete perché qualcosa arrivi a fissarsi nella mente.
Torno anch’io da Zirma: il mio ricordo comprende dirigibili che volano in tutti i sensi all’altezza delle finestre, vie di botteghe dove si disegnano tatuaggi sulla pelle ai marinai, treni sotterranei stipati di donne obese in preda all’afa. I compagni che erano con me nel viaggio invece giurano d’aver visto un solo dirigibile librarsi tra le guglie della città, un solo tatuatore disporre sul suo panchetto aghi e inchiostri e disegni traforati, una sola donna-cannone farsi vento sulla piattaforma d’un vagone. La memoria è ridondante: ripete i segni perché la città cominci a esistere.